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05-10/05/08, Fort William, Scotland.
La Sei Giorni di Scozia rappresenta ancora oggi l’olimpo delle manifestazioni internazionali del nostro sport. Nata all’inizio del ‘900, è la più vecchia gara di trial al mondo. Sei giorni della prima settimana di maggio, attraverso le colline scozzesi, con fulcro Fort William. Una trentina di zone al giorno su un anello sempre differente. Un unico percorso per tutti, campioni e non. Una cornice di paesaggio e pubblico molto particolare e suggestiva. Circa 400 richieste di iscrizioni tutti gli anni, di cui solo 270 accettate, dopo un sorteggio.
I più giovani ne sentono di meno parlare e questo è un vero peccato perché non si riesce più a trasmettere loro il desiderio di parteciparvi almeno una volta nella loro vita trialistica. Per quelli della nostra generazione invece è sempre stato un sogno, quasi proibitivo, perché da giovane i soldi in tasca sono sempre pochi, perché la Scozia non è esattamente dietro l’angolo, perché tutti quei giorni di ferie a maggio non si potevano fare, perché, perché, perché… A nessuno di noi però spaventava di sicuro il grosso impegno fisico, il trasferimento impervio, le otto ore giornaliere di motocicletta. Tant’è vero che non appena se n’è presentata l’occasione, anche se purtroppo con qualche anno in più sul groppone, non l’abbiamo lasciata sfuggire. Stiamo parlando di otto anni fa per l’autore di queste note, ma anche dell’ultima edizione per il quarantaduenne appassionato piemontese Carlo Grangetto, che siamo andati a disturbare,a gara conclusa.
Carlo , prima di tutto, dicci, tanto per capire con chi abbiamo a che fare, come sei arrivato al trial e quanto lo pratichi?
E’ una passione che ho coltivato da ragazzo, vivendo qui in provincia di Torino a ridosso delle montagne ed in una zona da sempre dedita al trial, com’è il circondario di Villar Perosa, mi è stato abbastanza facile incominciare. Dall’età di 14 anni a quella di 19, ho fatto anche diverse gare, sempre a livello regionale, solo una, che mi ricordi, a livello italiano. Poi ho smesso per una decina d’anni, dedicandomi al motocross ed all’enduro. Nel 1995 sono tornato al trial o meglio al motoalpinismo, che è poi quello che pratico oggi.
Cosa ti ha spinto a tentare quest’avventura?
E’ sempre stato uno dei miei sogni nel cassetto. Da giovane non me lo potevo permettere, poi il lavoro non lo conciliava. Non era facile anche trovare qualcuno con cui farlo, per dividere le gioie ed i dolori di un’impresa di questo tipo. Poi, avendo acquistato una Montesa, e parlando con Quirino Tironi (ndr responsabile Future Trial Team), mi si è presentata l’opportunità con il team Future. L’anno passato ne avevamo parlato. Ci sarebbe stato il camion per l’assistenza e poi mi avrebbero anche portato la moto. Quindi io potevo andare su in aereo e preoccuparmi solo di correre. Così ho provato a mandare l’iscrizione e sono stato fortunato a venire estratto.
Sapevi che l’anno scorso alcuni piloti italiani avrebbero dovuto parteciparvi e poi vi hanno rinunciato?
Sì, ne ero al corrente e temevo che non mi volessero accettare o che pensassero che gli italiani non se la sentono…

Ed invece? Com’è andata? Sei soddisfatto?
E’ stato bellissimo. Ti dirò, come tempo sono stato fortunato, per 4 giorni c’è stato il sole, addirittura con temperature prossime ai 30 gradi, in altri due giorni era nuvolo, ma niente di quanto letto e visto in passato, tipo grandine, pioggia o temperature polari. Sono arrivato 222° ed il risultato mi sta un po’ stretto, perché ho perso parecchi punti di tempo a causa di uno “stallonamento” al venerdì, a causa dell’asfalto caldo. Ero disperato e quando, dopo due ore di tentativi di fissare alla meno peggio la gomma al cerchio con del fil di ferro, stavo tentando di raggiungere una strada che mi riportasse alla partenza, ho incontrato i genitori di Dabill ed il padre di Wigg, con i loro furgoni. In un batter d’occhio mi hanno cambiato la gomma e mi hanno invitato a proseguire (io l’inglese non lo parlo, ma i gesti erano eloquenti…). Ho bucato cinque a tutte le altre zone per finire nel tempo e ci sono riuscito, ma in classifica sono sceso parecchio!
La cosa più bella e la cosa più brutta.
La cosa più bella sono gli altri piloti ed il pubblico. Le amicizie che fai, con piloti della tua stessa forza, con cui ti rivedi tutti i giorni. Io ero con un gruppo di francesi. E poi il pubblico. Se fanno zero i vari Lampkin, Dabill, etc, applaudono, ma applaudono anche il tuo orribile “tre”, e forse con ancora più decisione. La cosa più brutta è quando temi di non farcela, quando ho stallonato, ma anche quando sei tra i primi a partire e non ci sono ancora le tracce da seguire: la paura di perderti! Devi scovare la prossima bandierina del trasferimento, di colore arancione, perfettamente in tinta con la brughiera e poi devi anche essere veloce a farlo, perché ti tempo non ne avanzi mai!Altro che contare sull’assistenza. Toglievo il fango e controllavo la moto nei 30 minuti che avevo al mattino dopo nel parco chiuso!
Lo rifaresti?
Perché no? La prima volta sei terrorizzato dal non finirla e quindi badi soprattutto a quello. Poi forse ho anche sottovalutato il trasferimento. Io non faccio più le gare in Italia, ma tutte le settimane con amici motoalpinisti ci percorriamo un’intera giornata di sentieri e mulattiere anche molto impegnativi. Questo è niente in confronto a quello che ti trovi in Scozia, tu lo sai! Se ci ritorno lo farò con una preparazione più adeguata, per avere le energie necessarie da affrontare e percorrere un po’ meglio le zone.

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