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L'INVOLUZIONE DELLA SPECIE

Il trialista moderno ama i trasferimenti comodi, per riposarsi e dare il meglio solo nella zona

Una rubrica sul Trial, per il Trial, un qualcosa di presente in tutti i numeri, il Trial su Motosprint sempre! Voglio in questo spazio provocare le vostre reazioni, perché anche il dibattito può aiutare il Trial.
Il primo argomento che toccherò è il trasferimento nelle gare di Trial, che ruolo ha? Tutto quello che il pilota deve percorrere fra una zona e l’altra in altre parole, deve essere duro e sfiancare il concorrente oppure leggero, una “passeggiata”, un pezzo di torta per dirlo all’inglese, visto che tanto la classifica viene stilata con il punteggio nelle zone controllate?

A tal proposito, vi racconto come mi sono affacciato al Trial. Era il 1972, avevo 14 anni, una bicicletta Graziella come mezzo a 2 ruote. Vivendo a Torino, andavo con la famiglia in villeggiatura a Torre Pellice, cittadina di circa 5000 abitanti nella medesima provincia, culla della religione Valdese. La montagna che sovrasta la cittadina in questione è il Monte Vandalino, sul quale ho assistito al primo Trial Internazionale. Fu amore a prima vista. Altre gare seguirono negli anni successivi, che culminarono con la primissima prova italiana del Campionato del Mondo nel 1975. Era il 15 giugno, nonostante un tempo infame vennero stimate 20000 persone attirate dall’evento, tra le quali c’ero anch’io. Due giri di circa 50 km l’uno con 25 zone controllate. Il vincitore Martin Lampkin su Bultaco, scomparso prematuramente quest’anno, aveva totalizzato 98 punti, il primo degli italiani , l’attuale Coordinatore Trial in FMI, Albino Teobaldi, 17-esimo con 140 penalità. Sessanta i piloti classificati, gli ultimi dei quali entusiasti di aver fatto uno o due “3” in tutta la gara.

Piccolo ripasso. Nelle zone controllate, i punteggi vanno da zero, se il percorso del pilota è senza appoggiare piedi a terra, uno se si tratta di un appoggio, due se due volte, tre da tre ad infinite volte, infine 5 se si cade o si esce dalla fettuccia o si arretra (a quell’epoca) o si rifiuta di farla.
Ebbene gare di quel tipo sono diventate improponibili ai giorni nostri. Si è smarrita completamente la voglia di lottare , di non arrendersi mai, solo per il gusto di aver finito, di esserci stato. Oggi si corre per la coppa, per la foto sul podio, possibilmente cercando di fare meno fatica. Meglio se il trasferimento fra una zona e l’altra è su comode strade asfaltate, così ci si riposa e si dà il meglio unicamente in zona. Siete d’accordo?

(da Motosprint n.25 - 21/27 giugno 2016)

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