“L'importante non è vincere ma partecipare” è l'aforisma più conosciuto con cui viene ricordato il barone Pierre de Coubertin, fondatore degli attuali Giochi Olimpici, ma ci sembra che ben poco abbia a che fare con le gare di Trial, almeno quelle nazionali. Non è sempre stato così. Quando il Trial ha mosso i primi passi con i timidi tentativi all'inizio degli anni 70 nel Pinerolese in Piemonte ed alla Presolana, nel bergamasco, si trattava veramente di uno sport per gentiluomini. Tutti amiconi, pronti a dividere le nuove esperienze ed in gara prevaleva la lealtà sportiva. Poco importava il piazzamento finale. Non vi erano tante categorie e bastava aver battuto l'amico di sempre, pazienza se in classifica si era più vicini al fondo. Del resto non si dice forse che il Trial è una sfida con se stessi? Una sfida dove la gara dovrebbe solo servire da specchio, per capire se si sta migliorando oppure se si è sempre allo stesso livello.
Con la crescita, gli interessi economici e con piloti diventati professionisti o semi , mantenere il fair play è diventato sempre più difficile. E questo malcostume, che potrebbe essere giustificato e tollerato ai massimi livelli, si è tragicamente propagato a tutte le gare, comprese quelle amatoriali. Ma attenzione non dappertutto! In altre realtà nel mondo è ancora di moda lo spirito “decubertiano” . Dove invece continuiamo a riscontrare il maggiore agonismo è proprio nella nostra penisola. A sostegno di quest'affermazione un piccolo esempio.
Tempo fa la Federazione Italiana aveva deciso di promuovere le gare “classiche” , intese come quelle su più giorni, con un giro solo, sufficientemente lungo, il più fuoristrada possibile e magari anche panoramico, con un numero di almeno 20 zone per giorno. Aveva istituito una sorta di campionato nazionale, denominato Trofeo Marathon, con tre categorie e tre titoli in palio. Fin tanto che esisteva il campionato le gare godevano di un certo numero di partecipanti, cessato di esserci, a nessun moto club è più venuto più in mente di provare ad organizzarne una. Nella stessa Tre Giorni Della Valtellina, attuale manifestazione in Italia con il maggior numero di partecipanti, dei 350 iscritti, sono solo una cinquantina quelli in gara, gli altri sono quelli della Mulatrial.
Nella vicina Francia abbiamo riscontrato un diverso approccio. Alla “5 Jours Du Verdon” abbiamo constatato quanto per la maggior parte dei concorrenti la classifica non contasse nulla. Non c'era quella frenesia di conoscere il piazzamento provvisorio e affrontavano le zone sempre in allegria, intenti a godersi il momento di relax collettivo. Solo ai giorni nostri in Francia hanno poi istituito un trofeo nazionale per le “classiche”, che continuano ad avere un enorme successo: circa 250 i piloti al via. Non vogliamo dire che dovremmo prendere esempio dai cugini d'oltralpe, anche perchè sulla loro “sportività” nel trial professionale, avremo molto da ridire. Ci ricordiamo di episodi passati spudoratamente non corretti. Però ci sentiamo di difendere il loro approccio sportivo a livello amatoriale e, se non il loro, almeno quello che è stato il primo modello vissuto anche in Italia. I tempi in cui un pilota fermo sul trasferimento non riusciva a fare la pipì in pace perché tutti gli chiedevano se aveva bisogno d'aiuto!