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GLI ENDURISTI CHE NASCONO QUI

La tecnica che caratterizza il Trial è preziosa nel fuoristrada più estremo

Osservando la classifica della recente Getzen Rodeo di Enduro estremo che ha attirato circa 15000 spettatori paganti, scorgo compiaciuto che nei primi 7 ci sono 6 ex-trialisti di un certo livello. Non campioni del mondo ma nomi che hanno anche raggiunto posizioni di rilievo. Basta citare il 43-enne inglese Graham Jarvis, vincitore di 4 Scottish e più volte sul podio nel mondiale. C’è anche un italiano, il toscano Michele Bosi, un fedele appassionato della Sei Giorni di Scozia, ne ha corso ben 10 edizioni, ed è per ora l’unico pilota nostrano che ha terminato il durissimo Scott Trial.

Non nego di nutrire un po’ d’orgoglio perché spesso il Trial è considerato sport minore, alla portata di tutti, e che non richiede grandi dosi di coraggio. Mi ricordo che negli States chi sceglieva il Trial anziché il Motocross, veniva ironicamente battezzato dai motocrossisti, come uno senza “balls”. Per smentire questo luogo comune, il campione Geoff Aaron negli anni 90, si fece scattare quattro foto mentre si arrampicava e saltava su enormi massi in modo che l’importatore della Gas Gas, le potesse inserire in un poster con lo slogan, recitante in inglese l’equivalente di “…anche i Trialisti hanno le sfere”.
Se l’assenza di velocità tende a rendere meno esaltanti le gesta di chi pratica questa specialità, il cammino per arrivare ad un certo livello richiede passi fondamentali di controllo della moto, utilissimi per qualsiasi disciplina. La storia insegna come piloti di Trial di primo piano abbiano sempre ben figurato nel passaggio all’Enduro, mentre non ci sono altrettanti esempi di movimenti opposti. La pluri-campionessa spagnola Laia Sanz è una delle dimostrazioni più eclatanti.

Se poi si considera che nell’Enduro Estremo ci sono dei passaggi quasi tralistici, è palese come chi ha dovuto imparare i fondamentali di pesi-gas-aderenza ne tragga vantaggio. La parola magica è “tecnica”. Ci confida Bosi che queste gare si giocano in quei 10 minuti di percorso duro. L'ex trialista ci mette quel tempo, gli altri cadono, riprovano e magari perdono anche un'ora, perchè manca a loro la tecnica.
Vi confesso che le moto da Enduro, così massicce, con selle e serbatoi enormi, le trovo un po’ goffe quando devono prestarsi a quei gesti tecnici come compressione forcella, sfruttamento del ritorno della medesima per impennare la ruota davanti, ricompressione dopo aver colpito la punta dell’ostacolo e ritorno con compressione del “mono”, per poi rilasciarlo e con un colpo di reni e catapultarsi oltre l’ostacolo. Molto più grazioso se fatto con le esili cavalcature da Trial!

(da Motosprint n.45 - 06/12 novembre 2018)

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Michele Bosi

Bosi al Gedzen Rodeo

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