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SWM, TRACCIA INDELEBILE

La prima Marca italiana iridata aprì una nuova era con il disco rotante

Come festeggiare meglio il sessantesimo compleanno se non ricordando con gli amici i momenti più belli della tua vita? E quei momenti – se sei un campione del motociclismo – coincidono con gli anni in cui hai raggiunto i traguardi più ambiti. Come Danilo Galeazzi che l’8 dicembre, assieme al Moto Club Domo 70, ha invitato per una garetta e poi una gradevole cena, campioni e personaggi legati ai suoi quattro titoli italiani conquistati con la SWM.
È stata una festa della Marca di Vimercate con gli artefici di quel primo Mondiale di un produttore nostrano, quello del 1981 con alla guida il francese Giles Burgat. Dall’inventore, l’ex dentista “super” all’avanguardia nel Trial all’epoca, Piero Kuciukian, al suo collaboratore Dario Seregni, presente ancora oggiAggiungi un appuntamento per oggi nell’Italiano vintage. Quindi i piloti su cui la Casa milanese puntò: dal francese Charles Coutard, al giovanissimo Burgat e al californiano Bernie Schreiber.
In campo nazionale non poteva mancare il primo campione italiano, il torinese Giovanni Tosco, arrivato in SWM dopo i due titoli con la Ossa, a cui fu affidato il delicato compito di perfezionare i primi prototipi, testandoli sul campo. Anche Matteo Romegialli, ricordato per la sua guida “pulita”, sempre con pesi e posizioni in linea con i manuali classici.

Chi all’epoca non c’era ancora necessita di qualche delucidazione. Ovvio che la storia della SWM nel Trial non si potrebbe raccontare in queste righe, ma un particolare, quello per cui si è subito distinta, sì: quando la specialità stava entrando nell’età dell’oro – a cavallo tra anni ‘70 e ‘80 – diversi produttori italiani entrarono nel business e alcuni lascarono segni indelebili. La prima in assoluto, forse, fu proprio la SWM. Gli imprenditori Pietro Sironi e Fausto Vergani, dalla Regolarità si volettero affacciare al Trial. Ingaggiarono Kuciukian per gli aspetti tecnici e poi Seregni, e affidarono il primo prototipo a Coutard, che poi presentò loro il giovane connazionale talentuoso, futuro iridato, Burgat.

Il prototipo era una moto molto “magra” con un motore – dell’austriaca Rotax – opportunamente modificato, a disco rotante e che permetteva una più regolare immissione di miscela ai diversi regimi. Prodotta in tre cilindrate: la 125, la 240 (destinata al mercato francese) e la 320, che in realtà era solo 270 cm³ di cilindrata. I primi modelli con i colori rosso e bianco e quel sibilo tipico del motore a disco rotante segnarono l’inizio di una nuova epoca, un progredire di evoluzioni meccaniche e ciclistiche che non si è arrestata.

(da Motosprint n.51,52 - 18/31 dicembre 2018)

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